Tante persone si perdono mentre percorrono le loro strade, seguono con lo sguardo una distrazione volante e di colpo si ritrovano in un luogo alieno e oscuro. Nessuno può dire con certezza quali posti del mondo può riconoscere, nessuno sa quali volti lo hanno accompagnato e quali voci e quali profumi. Nessuno conosce l'esatto istante in cui è nata la sua percezione, non può capire il primo momento in cui ha avuto sentore della realtà. Tanti luoghi si dimenticano, anche luoghi interni alla memoria, anche luoghi visitati nel sonno. Non c'è una forma, non c'è una tinta, non c'è altro che buio. La prima volta che abbiamo bevuto del caffè? La prima volta che ci siamo fatti male? Il primo pianto? Un racconto fantastico immortalato da schizzi di vino sulla parete, da gocce di sangue sulle lenzuola, da chiazze d'olio su camicie. Tutto è stato lavato e ciò che resta è solo il moto casuale di pensieri che si sono impressi meglio, cozzando nel punto giusto del nostro spirito. Casualità e fortuna. Ma c'è altro. C'è l'amore, tutti ricordano il primo amore. Questo forse vuol dire che il moto armonico di globuli rossi cuoriformi sprofonda attraverso le pieghe della memoria più del primo pianto. Mi sciolgo come una dose di eroina, mi sciolgo e scivolo attraverso le vene forte e metallico. Mi sciolgo in un pianto di frammenti lignei, scheggio le pareti interne dell'animo facendole sanguinare. Vorrei nascondere la mia ebbrezza, vorrei urlare senza farmi sentire. Ma non posso stare solo, non è questo il mio ruolo nel mondo, non ho letto questo il giorno che il mio sigillo è stato aperto, come una porta a forma di vagina. Mi chiedo solo chi calpesterà il mio futuro, non ho parole, non ho fiamme, non ho sete né fame, sono solo un enzima che si è perduto senza assolvere il suo compito. Come quelle tante persone che si perdono mentre percorrono strade smarrendosi in una distrazione alata.