Poesia N.3

Non c'è più nulla di ordinario
nel cangiante specchio
che i miei occhi raffigurano.
Ho osservato il volto di mia madre
e di colpo le sue fattezze mi erano ignote
il suo sembiante sconosciuto.
Così ogni volta che mi soffermo sui tratti
di chi amo.
Ciò mi ha spaventato,
avevo di fronte l'estranea che mi aveva messo al mondo
allo stesso tempo capivo percepivo deducevo
che tutto ciò che ci lega
è al di là del corpo
ma non saprei dove.
Ho pianto mentre guidavo
piangevo senza motivo
senza capire l'esegesi
di quelle creature evaporate nella canicola
procedendo attraverso la memoria
su strade non più d'asfalto
su cieli di notte dal sapore marino
procedendo a ritroso nel tempo
ma avanti nello spazio cupo
di quel tragitto artificiale.
Poi hanno smesso
come sopraffatte da volontà diverse
era un'altra persona che piangeva,
erano mille persone.
A volte mi sento dilaniato
da due personalità nemiche
quella notte mi sentivo
frammento di un grande dio
dai volti infiniti.
Era la notte che d'impossessava di me
erano creature che avevo ignorato
che esalavano attraverso gli occhi
l'ultimo grido inascoltato.
Il rumore inesploso della musica
inaridiva sotto lo sprone
di anime invasate
deliranti e commosse.
Tanti bambini, tante bestiole
il cui grido avevo ignorato
affacciavano i loro logori arti
attraverso le mie palpebre umide;
ma un attimo è poco
per comprendere l'infinito patimento
che mi permeava.
Non capisco più nulla
del mio corpo
dei miei pensieri
dei sentimenti
e tutto mi sembra confuso
come a volte lo sono
le traiettorie semplici
di falene intorno a lampioni illuminati.
E allora preferisco scrivere una canzone
giurarla al mondo
nella veste purpurea
di un inchiostro che è sangue-
è amore-
è calma.
"Non so che nome avesse
quale il suo accento
qual voce il percorso
che il vento le disegnava attorno.
Dicevo di amarla
ma in realtà
era me stesso che amavo.
Illuminava l'aria
semplice come un pastello-
pensavo di amarla
in realtà era me stesso che amavo."
Ferire chi ama
è comprensibile
meno lo è ferire se stessi.
Eppure amando io mi ferivo.
Chi mi chiama?
Voci lontane
confuse tra pigmenti di notte
ignote al sogno
e pertanto leggere
come acini gementi
di un rosario
già scorso.

Poesia N.3ultima modifica: 2005-09-04T23:19:31+02:00da cat_stevens
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