1: Prologo

“Bicchiere spaccato”, non c’era scritto altro. Ero abituato ai memoranda più strani, la memoria non mi ha mai aiutato nell’arduo compito di portare al termine una giornata completando ogni impegno preventivato. Da un po’ di tempo trovavo difficile spiegare con coerenza dove prendessi dei ricordi, se dal sogno o dalla realtà e, cosa ancora più strana, saltavano fuori bizzarri post-it in formato elettronico che non soltanto non ricordavo ma non capivo.

Decisi di non cancellarlo stavolta, determinato a concentrarmi in un altro momento sul significato di quelle due parole. Al momento non potevo proprio, un altro promemoria di natura più immanente e consueta aveva appena suonato per ricordarmi che dovevo andare al lavoro. Gli uffici della Notebook Corporation, come a tutti piaceva chiamare la piccola azienda informatica dove lavoravo, si stagliavano alti sul panorama metropolitano di M***o e non tutti sapevano che dei sette piani di quel palazzo solo due appartenevano realmente alla NC. La giornata era grigia, tanto per variare, ma oramai ci avevo fatto l’occhio, i panorami li coprivo con il mio screensaver personalizzato, due cuffie e Tom Waits erano sufficienti a scaldare anche il paesaggio più bigio. La mia giornata in ufficio non prevedeva particolari slanci, ero uno dei pochi non ammessi al reparto vip della mensa aziendale, neanche sporadicamente. Me ne stavo per i fatti miei ascoltando musica, talvolta leggendo l’ultimo saggio di Hawking e talaltra facendo finta di leggere Milan Kundera nella speranza che qualche collega d’ufficio mi notasse e mi approcciasse dicendo “bello quel libro, ti sta piacendo?” In realtà avevo letto solo un libro dell’autore, portavo con me sempre “l’insostenibile leggerezza dell’essere”  per evitare brutte figure su domande semplici ma riguardanti altri libri. Mentre sorseggiavo la mia bibita, tristemente assorto nelle mie pseudoletture, i miei colleghi dietro commentavano le cronache giornaliere lasciandosi andare ai soliti banali eloqui, non potevo dire di sentirli ma qualcosa dalle loro parole emerse “avete saputo di Elisa, la collega del modulo 2 che ha avuto un aborto?” “no, poverina. Di quanti mesi era?” “Sei mi pare o forse sette”…

Una spirale, così posso descrivere ciò che si verifica nella mente all’improvviso, una girandola di pensieri mossi da un vento accidentale e improvviso. Di colpo mi ricordai di un sogno fatto durante la notte, di me che pugnalavo accanitamente un ventre di donna ridendo e un simbolismo parallelo mi fece congelare la schiena. Un bicchiere… un calice… esso veniva usato per simbolizzare la donna. Già prima delle visioni freudiane in materia, che volevano qualsiasi contenitore una rappresentazione simbolica del ventre femminile, c’era una fervida letteratura al riguardo che percorreva lande desolate del tempo e dello spazio. Il calice simbolo della donna… e del resto mi veniva di pensare che il latino calix, calicis ricordava vagamente il nome della dea Kalì, simbolo femmineo e fertile del misticismo orientale. Bicchiere spaccato. Se le due cose fossero state connesse allora c’era il rischio che una parte di me, un ectoplasma onirico si fosse dissociato per mandarmi messaggi di natura mistica? La spirale si era presto dissolta. Era una semplice accozzaglia di coincidenze e immagini della mia mente che liquidai con gli ultimi istanti della pausa pranzo. A dire il vero molti si prendevano un altro paio di minuti per la sigaretta ma di avviarmi al vizio, per allungare la pausa, non se ne parlava.

Mentre rientravo alla mia scrivania mi si fece incontro Leo, l’unico collega con cui avessi instaurato un rapporto amichevole oltre la semplice prassi d’ufficio. Scherzò con me sullo strano e inconsueto accostamento tra i miei calzini bianchi e la cravatta color panna e io gli risposi alla solita maniera “non mi piace vestire come un manichino, tanto vale rendere più curiosa la mia immagine con un sapiente mix di casualità e originalità” dove con la parola originalità intendevo il fatto che spesso quando uscivo per fare acquisti mi rifiutavo di girare più negozi e pertanto finivo per comprare tutti  i capi più orrendi scartati dagli altri. In una parola quelli originali.

“Andiamo stasera al Genius? C’è la serata single” mi chiese, “ma quando capirai che abbiamo passato i trent’anni ed è arrivato il momento di abbandonare queste feste per ventenni? Fai un upgrade o il sistema avrà un crash presto o tardi” era un linguaggio idiota ma ore di codici binari e algoritmi computazionali finivano per mutare il nostro parlato rendendolo simile a quello di quei quindicenni cerebro-ustionati che partecipano ai tornei parrocchiali di Tekken 3. Dopo aver farfugliato qualcosa sulla sindrome di Peter Pan mi congedò con un orario. Toccava a lui passare a prendermi, come al solito avevamo fatto testa o croce con un programmino da noi implementato in grado di randomizzare perfettamente il lancio di una moneta con la sua testa da una parte e il mio corpo dall’altra che simulava bene una croce data la mia corporatura macilenta. Alle otto sarebbe passato con la sua Kà, accompagnato dai suoi fedelissimi ormoni. Come è vero che uno più uno fa zero non c’era eccezione alla regola che ci voleva sbronzi come scimmie al termine di queste serate. Era assicurato così, l’avere altra compagnia al ritorno. Leo aveva il doppio di ormoni; io di doppio potevo avere solo Leo stesso, il che non era poco. La serata era stata divertente, avevamo abbordato un paio di ragazze che ci avevano gentilmente messo in lista d’attesa per la volta successiva. Era già qualcosa per due persone abituate ad avere un mazzo di due di picche di riserva al posto della confezione di condoms.

Una vaga inquietudine pregna di note alcoliche m’impedì il riposo, quella notte. Di norma contavo i logaritmi piuttosto che le pecore convinto del senso ultimo e universale della matematica, se c’è una funzione soporifera e capace di domare qualsiasi esponenziale sonno è proprio quella logaritmica. Ma quella notte non funzionò, fu un delirio di immagini – bicchieri infranti, urla acute e schizzi di sangue, pulsazioni cardiache così forti da far tremare il letto. Mi svegliai di soprassalto verso le quattro, vestito di sudore. Sentivo un presentimento: avevo ucciso qualcuno.

1: Prologoultima modifica: 2010-08-17T19:18:00+02:00da cat_stevens
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